(forse) Si.Può.(ri)Fare!

Vivere da sola in Italia, a 25 anni, con 450 euro al mese e a impatto zero.

Riduco, riciclo, riuso … e Rammendo !

La fregatura insita nell’acquisto di calzettoni a stock – e di mutande a stock, canottiere a stock e simili … – è che sembrano programmati per rompersi all’unisono. Ne buchi uno indossando una scarpa nuova ? Gli altri otto paia, riposti nei cassetti, si bucano per par condicio.

Chiaramente, ho le prove.

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E che se fa, se butta ???

NOOOOOOO !!!

Si rammenda, bambini !

Ecco una guida  fotografata per permettervi di rammendare qualsiasi buco !

N.B. Ho lasciato la mia scatola del cucito – esatto, nel 2014 non ho facebook, ma HO una scatola del cucito – a Roma, lì avevo un bellissimo uovo da rammendo appartenuto alla mia bisnonna. All’inizio mi sono disperata un po’, tanto per gradire, ma poi ho pensato … chi di loro avrà mai un uovo da rammendo ?!

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Intanto lavate il calzino incriminato in lavatrice, lasciatelo asciugare per bene e poi, dopo aver preparato il filo e l’ago (infilate un’estremità del filo nell’ago, ricongiungete le estremità e le annodate insieme ) ve lo infilate al rovescio sulla mano e tendete la parte bucata aprendo le dita.

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Poi, partendo da sotto, infilate l’ago in orizzontale tra i due lembi separati.

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Ripetete l’operazione andando verso l’alto e tirando il filo ad ogni punto fino a chiudere tutto il buco.

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A questo punto tornate in giù infilando sempre l’ago in orizzontale ma all’altro verso.

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Quando arrivate al punto di partenza fate un paio di nodi al filo e tagliatelo.

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FATTO !

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Chiaramente la mia scelta di filo rosso su calzino grigio è stata fatta solo per agevolarvi la comprensione … ma d’altra parte chi li vede i calzini ???

RIDUCO, RICICLO, RIUSO … RIPARO !!!

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Sferruzzo Ergo Sum Ep.2: La FINE del porta-kindle Lo-lee.ta.

Non ti fidar dello sharing di video su internet.

Porta-kindle anni '50 con occhiali a forma di cuore.

Eccolo qui ! Finito e più rosso e anni ’50 che mai !

L’ho chiamato Lo-lee-ta, tanto per non sfigurare … ma ho sfigurato lo stesso perché i miei ben due canali video non mi caricano il tutorial perché è troppo pesante. Forse ho parlato proprio troppo.

Dopo svariati tentativi ho dunque deciso di spiegarvi la faccenda per iscritto e fotografia: ce la potete fare: LO SO !

STEP_1: “Forse avete già finito e non lo sapete !” Se avete seguito le confusionarie istruzioni dell’altro tutorial, dovreste ritrovarvi con due rettangoloni uncinettati della misura del vostro kindle o palmare o checcazzonesò. In questo caso, potreste decidere di sovrapporli semplicemente, cucire tra loro uno dei lati lunghi ed entrambi i lati corti e di attaccare al lato lungo rimanente una chiusura lampo curandovi di cucirla da chiusa, se no viene a zig-zag. In questo modo avreste una semplice sacchetta in cui riporre il Kindle ( o chi per lui) al sicuro quando non lo state usando … ovvero quando è già al sicuro di per sé, lontano da voi.

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L’occorrente.

STEP_2: “Complicatevi la vita facendo i fighi” Come potete vedere, il modello da me proposto è totalmente unisex e si addice alla ragazza, come al nonno, alla nonna come al dragqueen o al manager di successo. Per farlo vi servono i due rettangoloni di cui sopra, un triangolo per chiudere e quattro anelli per tenere fermi gli angoli dell’attrezzo. Poi, se siete fighi quanto me, trafugate un bottone anni ’50 alla nonna del vostro fidanzato e mettete il punto all’opera. Ecco qua !

STEP_3: “Vi dico prima gli anelli che sono una cazzata.” Fate 30 catenelle. Fatto ? Puntate l’uncinetto nella prima catenella che avete lavorato e fate una maglia bassa per chiudere il cerchio. Lavorate un solo giro a maglia bassa e chiudete il lavoro lasciando un bel po’ di filo libero per cucire. Sì, dopo vi toccherà cucire !

STEP_4: “Il triangolo no!” E’ meno difficile di quanto sembri. Approcciatevi ad uno dei rettangoloni e fate una prima linea di maglia bassa sul lato lungo. Girate il lavoro alla fine della riga e fate una maglia bassa sul posto, quindi continuate alternando due catenelle a una maglia bassa lavorata ogni due maglia, in questo modo dovrebbe venire una riga con dei buchini. Quando girerete il lavoro, dovrete cominciare a diminuire per fare il triangolo: puntate l’uncinetto nel primo buco della riga precedente, sotto le due catenell) e lavorate una maglia bassa. Ricominciate con due catenelle e una maglia bassa e andate avanti così fino a che la riga non è così stretta da contenere solo due buchi.

STEP_5: “L’asola, sì !” Se siete sopravvissuti al triangolo, sappiate che state per chiudere il lavoro. L’asola è l’ultima riga del triangolo, ovvero il suo apice: fate un numero sufficiente di catenelle da attaccare alla fine della riga creando un occhiello in cui passi il bottone che avete scelto. Il mio bottone che era bello grossetto ne ha richieste cinque. Poi, se site sfiniti chiudete il lavoro. Sennò … potete rifinire l’asola girando il lavoro e puntando l’uncinetto nel buco e lavorando a maglia bassa fino a coprire tutto l’occhiello. So che ce la potete fare: lavorate d’immaginazione !

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Praticamente FATTO !

STEP_6 “Cucite tutto !” Cucite prima gli anelli come mostra la foto e poi il lato lungo dei due rettangoloni. Infine cucite il bottone in modo che il triangolo sia ben teso.

… Se vi sentite così confusi che pensate di trovarvi meglio con un tutorial in inglese, vi segnalo Ravelry.com (esistono anche versioni tradotte non ufficialmente), sulla pagina di una certa SCassandraALverde comparirà al più presto il mio pattern.

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Oops … sono diventata una ECOquattrocchi !

Occhiali uno

Oops, sono diventata una ECOquattrocchi !

Avevo gli occhi secchi, stanchi, doloranti e mi veniva il mal di testa a stare davanti al computer per ore, come avevo sempre fatto.

Eh, si invecchia !

L’oculista della USL ha detto che mi era peggiorato l’astigmatismo inesistente che già avevo: di poco, ma abbastanza da rompere le scatole e richiedere un po’ di riposo, eccosì mi ha prescritto ciò che a Roma si chiamano i Bernardi: GLI OCCHIALI.

E allora che occhiali mi compro ?

Ero partita con un modello artigianale prodotto dallo stesso signore che li vende – il sempiternemente elegante signor Spiezia – e che credo riciclerò come occhiali da sole: sono occhiali asimmetrici con una lente tonda e una quadrata, con la montatura spessotta e disponibile in diversi colori, tra cui prediligevo – dopo numerose prove – il blu. Gli facevo la posta da sette anni buoni, con i miei occhi asimmetrici pronti a ricevere giustizia,  sperando di aver ereditato qualche acciacco oculare dai Janitors o così via … e invece no ! Tra l’altro, a parte il fatto di essere italiani e artigianali e molto belli … costavano un botto !

Ho quindi virato su dei modelli in legno … sempre costi alti e spesso produzione estera, senza accortezze particolari per la fase di produzione e stoccaggio.

Eppoi mi sono buttata sull’hightech e le riciclerie dell’ultimo minuto: gli occhiali che vedete nella foto sono della Nau!

Azienda italiana e che produce in Italia. I loro occhiali sono in plastica riciclata al 96% e la loro produzione ha ricevuto la Certificazione Ambientale UNI EN ISO 14001:2004, sono approvati da Legambiente e tra i vari portaocchiali ce n’è alcuni che vengono fatti da donne detenute con tessuti di scarto … indovinate quale ho comprato …

astuccio occhiali

La montatura degli occhiali in realtà è blu … però la luce gialla lavora contro.

In più c’è una promozione che si chiama Prezzozero: le montature di questa collezione sono gratuite e si pagano solo le lenti … ma a me stavano maluccio. In ogni caso ho addebitato la spesa delle lenti ai miei (90 euro), che le scaricheranno dalle loro tasse, di cui sono ancora partecipe. Io ho pagato 74.95 di montatura e 4.9 di astuccino etico.

Eppoi, li ho provati. Mi sembrava di vedere un mondo dentro un acquario di vetro e di vederlo da una quindicina di centimetri più in alto. Sarà normale ?

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Sferruzzo Ergo Sum Ep.1 Avvio, catenella e maglia bassa per fare la mutanda al Kindle !

Carissimi !

FINALMENTE, per chi non aveva ancora perso la speranza, ecco il mio primo zoppissimo tutorial in svariati video perché sapevo di non aver tempo per montarne uno coi contras.

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Ready? GO !

Ringrazio tutte le amichette che hanno fatto del sano pressing perché questi video venissero al mondo ed eccoli a voi per lavorare in piano con una trama fitta e fare sciarpe, porta-la-qualunque e … la fashonissima, coolissima mutanda per il Kindle di seconda mano !

1. Intro di prova … poco mosso: Ingredienti_Uncinetto numero 3 con filo un po’ più grande per fare venire la trama ancora più fitta. Ma se siete davvero alle prime armi, come vedrete, conviene fare l’inverso. Noterete anche che questo video ha il punto di fuoco in culandia, anzi tettelandia, rispetto alle mie mani … mavvabbè, era il primo.

2. Avvio e catenella: no, questi video servono decisamente più per farsi due risate che per imparare qualcosa … ditemi se non è così !

3. Maglia bassa, primo giro: … e abbiamo l’ingresso di un nuovo personaggio all’interno della storia: il mio naso.

4. Girare il lavoro e ricominciare: qui la trama, letteralmente, si infittisce …

5. Vi ammazzo di maglie basse: mi sa che ad un certo punto dico catenelle al posto di maglie basse … ma il livello scende vertiginosamente … siamo alla sagra della porchetta, ragazzi !

6. Il gran finale: dopo aver dichiarato di puzzare – e ora dichiaro di non essermi fatta la doccia fino al giorno seguente – concludo la mia prima esperienza da tutorialist e vi faccio pure l’applauso !

Comunque, no, non farò mai più video in HD, quindi godetevi questi ! La prossima volta li faccio tutti pixelati con la webcam perché a ‘sto giro ci ho messo TRE GIORNI a caricarli su Flickr, che però è sempre meglio di Vimeo !!! Aspetto furente vostri feedbackssss sui miei tutorial in romano …

… da esse continuato …

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Telefonia ecocheap: Cose che, NO !(kia), non riesco a buttare.

[Tanti auguri eggrazie ! Non tanto per i 101 articoli, quanto per i 103 followers: ma che malattia avete ? =)]

NO_kia

NO!

1. Iniziò così … la mia avversione per i telefoni cellulari.

Tutto ha avuto inizio con un Nokia 3310 che comprai all’età di 12 anni dopo un anno di Grande Depressione fatto di risparmi e nulla più. Lo pagai la bellezza di trecentoventi milalire e aveva cinquanta milalire di ricarica al suo interno che l’odiato genitore, allora privo e determinatamente contrario ad ogni supporto di telefonia mobile, aveva prosciugato durante le settantadue ore che separarono l’acquisto dall’arrivo nelle mie mani della bestiola. Me lo rubarono quattro anni dopo. La perdita fu – non proprio col senno di poi, dato che un cellulare indistruttibile non l’anno più fatto – riparabilissima: mi ero già scocciata dell’assiduo parental control a cui l’oggetto mi costringeva, con tutto che allora la metro era ancora un silenzioso rifugio anti-radiazioni. Come da copione, la mia scarsa di riaverlo volontà, ma soprattutto le motivazioni per le quali non mi misi a risparmiare ogni centesimo che pioveva dal cielo, portarono i Janitors a regalarmene uno per il Santo Anale, ovvero quello azzurrino in basso a sinistra nella foto. Si vede che l’oggetto era particolarmente indesiderato e posseduto da spiriti maligni, perchè il mio ragazzo di allora mi lasciò per mezzo dello stesso il giorno successivo dando inizio a due anni buoni di odioso tira e molla adolescenziale … sì, per telefono, il giorno di Nasale. Il successivo – sia telefono che fidanzato, in effetti ! – durò una settimana … e non in senso biblico ! Era uscito dalla fabbrica difettato … sì, anche qui vale per entrambi. Quindi ci fu l’unico cellulare per cui spesi più di venti euro dai tempi gloriosi del 3310 e che durò un annetto e mezzo. Dopodiché, mi venne nuovamente regalato quello attuale, sempre perchè paventavo la volontà di liberarmi dalla schiavitù del reperibilismo perpetuo.

2. Il cellulare ecologico non esiste.

Mi spiace (?) ma è proprio un controsenso in termini. Il telefono cellulare in quanto oggetto è assolutamente non etico e non sostenibile: è prodotto in paesi sedicenti in via di sviluppo in cui i diritti dei lavoratori non hanno mai messo piede, la produzione è decentrata e non è raro che ogni singola componente affronti svariate ore di volo prima di essere assemblata ed altrettante planate per giungere a noi; i materiali di cui è composto sono inquinanti in ogni fase di produzione, difficilmente smaltibile e – vedi coltan – forieri di conflitti, deforestazione e sfruttamento. Quindi già l’oggetto di per sè, ancora privo dell’altrettanto inquinante e non smaltibile batteria, crea più danni di una bimbaminkia repressa dell’Opus Dei infettata di AIDS. Poi lo accendi e, a meno che tu non abbia comprato il modello col pannellino solare sul retro (che sarà il mio prossimo telefono, anche se la fotocamera potevano risparmiarsela) o il caricabatterie ad energia solare, inizi a consumare energia elettrica. A questo punto ti serve giusto un antennone cancerogeno ogni centocinquanta metri e sei apposto.

3. E’ l’uso che se ne fa …

Uno dei motivi per i quali non citerò gli smartphone in questo articolo – a parte ora … anche se ne esiste almeno uno che non faccia totalmente vomitare ECCOLCACCHIO che vi metto il link ! – è che sono stati ragionati PROPRIO per evitare accuratamente che il loro uso possa essere anche solo vagamente poco nocivo per ambiente, psiche, interazione sociale, vita di coppia, vita sessuale, applicazione e sviluppo di capacità ecc. Emmidispiace per chi è persuaso del contrario: caricare uno smartphone col pannello solare equivale ad andare col SUV alla fattoria biologica, ad andare in aereo al G8/Social Forum di Genova, a farsi lo chatouche (si vede che ho delle colleghe femmine ?) sui rasta

sì, la pianto. Ecco un non-so-quantalogo del cellulare col minimo impatto su ambiente, umano e psiche: usatelo il meno possibile, mandate perlopiù sms, usate l’auricolare, spegnetelo la notte, non tenetevelo acceso vicino alla testa mentre dormite, comprate telefoni che facciano i telefoni e non le macchine fotografiche/ le badanti/ la pasta / il caffè / la baby-sitter/ il vibratore/ l’analista / la panchina / la piazza / la manifestazione / il letto / la scuola / il pub / il cinema / la sala giochi / la mignotta / il telegiornale / il libro / il computer … approfittatene quando si rompe per regalarvi una VERA settimana detox, cercate di non identificare il vostro Io in un telefono cellulare, consultate Santa Internet prima di comprarne uno (vedi modello solare sopra), cercatelo usato, date un’occhiata al sito i Greenpeace (chemmagari prima o poi le aggiornano ‘ste guide al consumo critico), dimenticatelo volutamente a casa una tantum, in attesa del caricabatterie semistantaneo – oltre che di quello che va a scuregge – ricaricatelo con i pannelli solari o con le manovelle(GUARDATE I PREZZI), una volta rotti smaltiteli comeccristocomanda, se quello precedente non si è ancora rotto lasciandovi “fuori dal mondo” nel momento cruciale della vostra vita – vedi “gente che ti lascia per telefono il giorno di natale”- non cambiate cellulare.

4. SCassandra contro Nokia.

E’ tardissimo ma ‘sto post mi ha appassionata: lo voglio concludere. Il succo è che ho tutta quella robba lassù, tanto per cambiare. Non l’ho mai buttata perchè la Nokia si vanta di essere ecosostenibile – nel 2010 Greenpeace le dava un 7.5 molto lusinghiero – e di riciclare i vecchi modelli ritirandoli e smaltendo ciò che resta inutilizzato e inutilizzabile. Ebbene, in dodici anni di fedele customeraggio, mai nessun centro di raccolta Nokia si è degnato di riprendersi nemmeno uno dei miei sgorbi. Ho mandato mail all’insegna del “Buttiamo ‘sto pomeriggio”, ho subito tristi telefonate di circostanza dai call-center in cui mi si indicavano i centri di stoccaggio dell’AMA, ho camminato per chilometri per andare a stanare i centri raccolta di Roma salvo poi tornare indietro a mani piene e con in testa le scuse più disparate, stavo meditando di portarmeli ad Helsinki e filmare l’evento di me che entro alla Nokia col paccotto … Ma forse è finita: vicino al luogo in cui lavoro c’è un centro assistenza Nokia che ha un cartello affisso fuori: “CENTRO RACCOLTA CELLULARI NOKIA”.

Io domani ci provo … NO ?

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Sferruzzo Ergo Sum Ep. 0 La scelta dei filati e riciclo di filati usati.

[dedico questo primo postutorial alla Finlandese, con tante scuse per il ritardo !!!]

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Il mio arsenale bellico.

L’avevo anticipato millenni fa, ci ho messo un bel po’, ma eccoci qua con il primo pseudo-postutorial sul fantastico mondo dello sferruzzo. Ho deciso di partire dai fili, poi aggiungerò un ferro per volta: dall’uncinetto passeremo a due ferri, fino poi a quattro. Premetto che non sono un’esperta, sono più che altro un’amatrice.

Partiamo dunque con il senso di SCassandra per lo sferruzzo. La pre-premessa è che lo sferruzzo è unisex: guardate qua ! La premessa è che non tutto ciò che è autoprodotto è conveniente e non tutto ciò che è autoprodotto è ecologico.

Detto ciò, ecco quando – secondo me – è il caso di sferruzzare :

– Sferruzzare per riparare.

– Sferruzzare per i bambini: serve meno lana, meno tempo e gli abiti per bambini, se di qualità, costano tantissimo! D’altra parte i pupi crescono a vista d’occhio, quindi conviene usare lana riciclata e riciclarla una volta che il golfino o chi per lui non gli va più. Eviterei invece la tendenza al “corredinismo”, foriero di spese pazze, bimbi formato cicciobbello e mamme in depressione post-parto dopo le 115 ore passate a guardare telenovelas sudamericane sferruzzando. Siete affette da corredinismo SE: sognate un mondo in cui tutti sono vestiti di tutine uncinettate con cappello, scarpe, guanti e mutande uncinettate in coordinato; avete confezionato venti paia di scarpine da neonato dimenticando che il neonato non cammina e state progettato altrettanti abitini da cocktail ai ferri dimenticando che i cocktail-party a tre mesi non sono uno spasso.

Per fare i regali: anche qui però è sempre in agguato la tendenza “oggettinista”, ovvero la tendenza a creare oggetti totalmente inutili da affibbiare a qualsivoglia amico-amica malcapitata ad ogni occasione. Siete affette da Oggettinismo SE, dopa il portacellulare, il portapenne e il portamonete vi avviate convintamente verso il porta-borsa, il porta-pochette, il porta-porta-penne; oppure se state progettando di vestire il telecomando con un pagliaccetto fatto ai ferri; oppure se avete fatto pupazzi evocativi di tutti i membri dell’albero genealogico fino al quinto grado e ancora state lì a reperire foto della quadrisavola Bertilla per capire se era bionda ed evitare di pupazzarla in bianco e nero;  oppure se fate bignè-pupazzo all’uncinetto e li regalate alle amiche a dieta e poi vi vogliono uccidere … è chiaro ???

Avremo modo più avanti di disquisire su questo punto, ovvero l’utilità di ciò che si crea. La cura per i suddetti disturbi è comunque quella di smettere per un po’. Come con l’alcol. Ma andiamo avanti …

Cosa Filo ? Per sferruzzare si possono usare i seguenti filati: lana, cotone, rafia, filati sintetici, lino, canapa, yuta … Chiaramente, dal punto di vista ecologico il campo si restringe nettamente: si preferiscono filati italici di tipo organico e con coloranti/colori eco-compatibili. Nell’ambito economico il campo si restringe ancora di più perchè, per quanto la lana merino sia un soffice angolo di paradiso, 5 euro a gomitolo sono proprio un furto. Il cotone è meno costoso, ma è una fibra ad alto impatto per il grande quantitativo d’acqua che richiede sia in fase di coltivazione che di lavorazione e filatura.

Ecco allora il filato più eco-cheap di tutti: quello riciclato in poche e facili mosse. Il seguente procedimento serve a qualsiasi tipo di filato organico per ammorbidirsi, distendersi e tornare quasi come nuovo.

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1.Prendete un paio di forbicette appuntite e un oggetto oggettivamente brutto ma fatto con un filato decente … i negozi dell’usato sono pieni di roba anni ’80 a pochi euro che sembra fatta apposta … approfittiamone !

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2. Se ci sono dei pezzi cuciti, scuciteli. Con i maglioni bisogna staccare le maniche ed aprirle e poi separare il davanti dal dietro.

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3.Dopo aver trovato il capo del filo e aver tagliato il nodo … Usate la mossa di Spock per puro folklore mentre srotolate il filo facendolo passare tra gomito e pollice.

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4.Otterrete così degli anelli che arrotolerete su se stessi per formare delle matasse.

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5.A questo punto imbacinellate tutto con un fondo di aceto bianco e acqua fredda a volontà. Lasciate tutto a mollo per una notte almeno, poi cambiate l’acqua per sciacquare via un po’ d’aceto e mettete le matasse ad asciugare in piano senza strizzarle su un asciugamano.

 

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6.Una volta asciutte fate dei gomitoli … se non siete capaci siete per prima cosa delle persone terrificanti, eppoi vi cercate il tutorial di qualcun altro su iutub.

Ricordatevi che c’è crisi e che quindi nun se bbutta gnente: fatevi un sacchetto a parte dove mettere gli scarti di filo più piccoli. Ad un certo punto finirete per fare almeno un pupazzo e quel giorno vi servirà qualcosa con cui riempirlo !!!

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Nun se bbutta gnente.

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Manutenzione ecocheap per scarpe di cuoio come nuove !

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Avevo già scritto un post sulle scarpe in cui definivo come “migliori” le scarpe di cuoio prodotte in Italia/Europa con una serie di accortezze ecologiche.

Una buona alternativa sono le scarpe usate, purchè non siano troppo sformate,altrimenti potrebbero influire sulla nostra postura. Se le scarpe – nuove o usate – sono leggermente scomode o “toccano” il piede creando fastidi, si può ovviare al problema inumidendo la parte il punto incriminato e battendo il cuoio con un martello usando un pezzo di legno come base, in questo modo il la scarpa si ammorbidisce e da meno fastidio. C’è anche chi basca il cuoio e tiene le scarpe ai piedi con un calzettone bello spesso finchè si asciugano prendendo la forma del piede … ma penso che questa manovra sia per pochi coraggiosi.

Ebbene, le scarpe di pelle tipo sono potenzialmenOLYMPUS DIGITAL CAMERAte infinite se trattate con rispetto e se si effettua una manutenzione appropriata una tantum. Ci sono delle marche di scarpe di cuoio che vendono delle lozioni apposite o degli olii. In realtà la pelle usata per fare il cuoio funziona all’incirca come la pelle umana: si disidrata e va idratata con qualsiasi cosa di grasso. Stiamo parlando di scarpe di cuoio lucido, non scamosciato, che necessitano di una pulizia piuttosto accurata con un panno o un po’ di carta assorbente o igienica umida. Una volta sciutte, questi sono i materiali che mi è capitato di applicare sulla superficie delle scarpe con un panno asciutto – o carta assorbente, o carta igienica, ma anche con le mani – sono i seguenti:

– Olio o grasso vegetale, di tutti i tipi, anche scaduto;

– Burro, di tutti i tipi, anche scaduto;

– Creme, di tutti i tipi, anche scadute, purchè non colorate.

Io personalmente preferisco le creme idratanti o nutrienti o solari scadute o quelle troppo chimiche che magari mi regalano o di cui ho dei campioni.

Il risultato potete vederlo nelle foto !

Se invece è la suola a rovinarsi, la scarpa di cuoio consente di far effettuare una risuolatura al calzolaio – sì, il calzolaio, esiste ancora! – per un prezzo inferiore a quello dell’acquisto di un paio di scarpe dello stesso valore.

Ma esiste almeno un altro bel modo per non dover rottamare le scarpe e di guadagnarci anche un po’ … eccolo qui !

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[P.s. per i vegani: funziona anche con la lorica !!!]

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Riciclare … la frutta vecchia ?

Capita a tutti noi, per esempio a me, di ritrovarsi in casa con della frutta vecchia. O perchè no, anche di essere gabbati dal commerciante di turno che ci vende dei mandarini de stamatina o delle mele bbone, so le mie! che poi si rivelano circa insapori, per non dire immangiabili.

mandarini vecchi

Un modo per non ritrovarsi con della frutta vecchia in casa è mangiarne un sacco, oppure comprarne una quantità appropriata rispetto al proprio consumo. Un modo per non farsela appioppare è andare da un fruttarolo di quelli che te ne fanno assaggiare uno spicchio o che lasciano che sia tu a sceglierla ANCHE TOCCANDOLA. Il miglior modo di scoprire se la frutta e la verdura sono di qualità, infatti, è lo stesso che una donna dovrebbe adottare nella scelta di un uomo: toccare con mano per sapere cosa sta comprando. Ma pare che quest’abitudine, a parte i supermercati tramite l’apposito guantino plasticone, non sia praticata nè tollerata da Roma in su. Ecco un’altra delle abitudini terrone che preferisco: il commercio si fa con le mani prima che con i soldi !

Eqquindi ecco una ricetta del mio amico Alex che ho rivisitato in chiave mui SCassandresca per salvare la frutta quando non è ancora marcia ma è un po’ mosciarella, un po’ troppo dolciastra … e si fa in 3 minuti.

La ricetta originale: fai bollire tutto 1 o 2 minuti. E usalo per condire le crepes.

2 arance o 4 mandarini spremuti – mezzo limone spremuto – 4 cucchiai di zucchero – 1 cucchiaio di farina

La ricetta per salvare le povere clementine vecchiotte: fai bollire tutto 1 o 2 minuti. E usalo.

6 clementine vecchie spremute – un’arancia rossa spremuta – 4 cucchiai di zucchero – 1 cucchiaio di farina

Credo che qualsiasi altra frutta si possa salvare allo stesso modo, sbucciandola, frullandola e aggiungendo succo di limone … ma la mia è solo un’ipotesi.

Crema al mandarino

 

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