Vi ho sorpreso, eh ?! Pensavate che fossi una simpatica cialtrona che si affogava di Dan Brown, e invece !!! [Lode a RaimondoRizzo, che invece mi ha “sbuggerato” più d’una volta !]
Ci riprovo anche per quanto riguarda i libri. L’anno scorso ero partita abbomba col proposito di recensirne o comunque di parlarne almeno una volta al mese. Il tutto si è irrimediabilmente arenato quando ho cercato di recensire il mio libro preferito … il post giace tuttora incompleto nella draft-case di WordPress. Vi parlo di questo libro in particolare perché mi ha regalato un’ottima chiave di lettura per la mia storia familiare – della quale vi farò salvi sia i dettagli che eccetera – ma soprattutto per un disagio psicologico con il quale molti dei miei simili devono confrontarsi almeno una decina di volte al giorno, ovvero “Il dilemma dell’attivista”. I sintomi di questa patologia sono molto vari, ma vanno tutti a confluire nella sindrome Post-Report (ampia e scientifica trattazione qui), ovvero quel misto di malinconia, frustrazione e rabbia, condita di senso di impotenza, depressione e volontà di ledere al prossimo e a sé stessi. Dinnanzi allo svuotamento di senso delle nostre quotidiani azioni di contrasto il pensiero si fa mantra: “E allora No” oppure “MAVVAFFANCULO”. Una tale mole di sconforto può essere curata tramite molteplici terapie. Ebbene, recensendo questo piccolo-grande libro, cercherò di spiegarvi la mia (che se vi interessa più di Honneth potete trovare in coda al post).
Titolo: “Riconoscimento e disprezzo”
Sottotitolo: Sui fondamenti di un’etica post-tradizionale.
Autore: Axel Honneth
Titolo originale: “Anerkennung und Mibachtung. ”
Casa editrice: Rubettino (compratelo, che Rubettino è nell’estremo sud … e resiste !)
Prima pubblicazione: 1993
Prezzo: 6.00 Euro
Pagine: 48 (Sì, dai, si può fare !)
Quarta di copertina (in questo caso è all’interno della copertina): “Essere riconosciuti dagli altri è essenziale per l’affermazione della nostra identità. La mancanza di tale riconoscimento – il disprezzo – è un attentato alla fiducia, al rispetto e alla stimache noi sviluppiamo verso noi stessi. Le caratteristiche del riconoscimento e del disprezzo reciproci tra gli individui sono la base per una riflessione sulle forme di un’etica che non si limiti ad enunciare principi astratti, né ad identificarsi con il rispetto di una tradizione, ma che sappia indicare le condizioni di una vita degna di essere vissuta, all’altezza delle esigenze poste dalle società contemporanee.”
Recensione con citazioni (grassetti e sottolineature sono miei): a seguito dell’Introduzione ad opera del traduttore del volume, l’allievo di Habermas apre il discorso citando “Il diritto naturale e la dignità umana” Bloch e in particolare la distinzione che egli opera tra l’utopia sociale e il diritto naturale e della quale riporto solamente la conclusione: “Perciò l’utopia sociale si orienta soprattutto all’eliminazione della miseria, e il diritto naturale soprattutto all’eliminazione dell’umiliazione.”. La dignità umana viene dichiarata come “accessibile” solo nel momento in cui vengono descritti e specificati i modi dell’umiliazione e dell’offesa personali. Ma/Eppure sono queste esperienze negative che generano il conflitto necessario a far sì che la dignità umana stessa sia tutelata a livello normativo. L’integrità delle persone umane dipende in maniera costitutiva dall’esperienza del riconoscimento intersoggettivo e, poichè può subire violenza e molteplici forme di dispregio viene vista da Bloch – che in questo modo ci consegna indirettamente ciò che viene intesa come Una teoria del riconoscimento reciproco – come dipendente dall’approvazione e dal rispetto da parte di altre persone. Occorre garantire un’ampia comprensione del termine dispregio che viene inizialmente e genericamente definito come un riconoscimento negato che colpisce le persone nella stima positiva che hanno di sé. Per approfondire l’indagine Honneth si serve di Hegel e Mead per delineare il profilo della teoria sistematica che vuole il pocesso di individuazione della persona, come dipendente dal pervenire del singolo ad una identità pratica nella misura in cui esso abbia la possibilità di accertarsi del riconoscimento di se stesso attraverso una cerchia sempre più vasta di partner della comunicazione. Da questo tipo di categorizzazione, tuttavia, deriverebbe una sorta di mutilazione dell’essere umano (spregio) che implica il crollo dell’identita dell’intera persona a seguito di una violenza subita. Appare chiaro come il termine “spregio” e i suoi satelliti semantici – così come il diametralmente opposto termine “rispetto” – debbano essere accompagnati da opportune distinzioni di grado che vanno irrimediabilmente a finire in secondo piano all’interno del linguaggio comune. Questa utile categorizzazione appare viva nel discorso sulla teoria morale di Kant che distingue i gradi del rispetto in base a un criterio centrato sull’analisi di quali tratti caratteristici della persona vengano riconosciuti, e in che modo. A partire da tale dibattito, Honneth propone la sua propria categorizzazione dei tipi di spregio che riguardano rispettivamente:
1) Integrità fisica: forme di maltrattamento che con la violenza tolgono a una persona qualsiasi possibilità di disporre liberamente del proprio corpo.
2) Forme di spregio personale: che colpiscono un soggetto escludendolo strutturalmente dal possesso di determinati diritti* nell’ambito di una società. La negazione dei diritti sottende la mancata attribuzione di una capacità morale di intendere e volere pari a quella degli altri individui. In merito a quest’ultima affermazione suggerisco un’analogia con la posizione dei regimi totalitari rispetto ai loro stessi cittadini.
*ci viene fornita una puntuale definizione del senso del termine “Diritti”, ovvero, quelle pretese individuali che una persona può legittimamente far conto di poter vedere socialmente soddisfatte in quanto, come membro a pieno titolo di una comunità, partecipa con diritto pari agli altri all’ordinamento istituzionale della stessa.
3) Negazione del valore sociale a singoli o gruppi: la negazione, cioè, dello status – definito come il grado di considerazione sociale che, nell’orizzionte culturale della società, attiene al modo di aautorealizzazione che una persona persegue – ma anche della possibilità di ascrivere un valore ssociale alle proprie capacità.
La differenziazione delle tre forme di spregio fornisce una chiave per distinguere altrettante relaziooni di reciproco riconoscimento:
1) Amore (n.b. Hegel): quando l’individuo ha esprienza del fatto di nutrire reciproci sentimenti di particolare apprezzamento, ciò che sperimenta è la fiducia in se stesso. Questa modalità non può essere estesa oltre l’ambito dei rapporti sociali primari.
2) Diritto : in cui il singolo impara a comprendersi dalla prospettiva del suo partner (anche se non sono particolarmente d’accordo con la scelta di questo sostantivo) come un portatore di diritti egualmente legittimato. Questo tipo di relazione genera autorispetto.
3) Solidarietà : in essa i soggetti, nelle loro particolarità individuali di persone biograficamente individuate, troverebbero il riconoscimento di un reciproco incoraggiamento. Questo tipo di relazione, inclusiva per posologia di un elemento affettivo di partecipazione solidale, funge da elemento propulsore per la stima dei se stessi.
I concetti basilari sui quali si basano le norme etiche che consentono agli individui di riconoscersi reciprocamente nella loro unicità individuale sono aperte al processo di detradizionalizzazione (perdendo, cioè il loro carattere prescrittivo e instaurando un riconoscimento della differenza egualitaria) e vengono conseguentemente citati e ridefiniti da Honnet come segue:
Integrità_Un soggetto può sentirsi sorretto dalla società rispetto all’intero arco del suo autoriferimento pratico.
Morale_Punto di vista che permette di portare eguale rispetto a tutti i soggetti, o di tenere in eguale considerazione i loro interessi.
Etica_L’insieme delle condizioni intersoggettive rispetto a cui è possibile dimostrare che fungono da presupposti necessari della autorealizzazone individuale.
Tutto ciò è il presupposto della divulgazione di un modus operandi che può determinare la riuscita di una vita dipendente, tuttavia, da una variabile storica: il livello di sviluppo del modello di riconoscimento.
La post-tradizionalizzazione era stata già teorizzata e sviluppata da Hegel e Mead, che idealizzavano una società in cui le conquiste universaliste dell’uguaglianza e dell’individualismo sono impresse a tal punto nei modelli di interazione, che tutti i soggetti trovano riconoscimento come persone insieme autonome e individuate, trattate in modo eguale e tuttavia uniche. Entrambi i filosofi sono già stati pregiudicati dal loro contesto sociale e da quelli successivi, dunque Honneth si rivolge alla teoria psicoanalitica delle relazioni oggettuali, dichiarando che i soggetti possono reciprocamente esperirsi come amati nella loro individualità solo nella misura in cui hanno la capacità di restare da soli con se stessi senza paure.
Riportando questa teoria su un piano giuridico, è attraverso la condivisione dei diritti sottostanti le suddette tre relazioni curative dello spregio che la struttura dell’etica post-tradizionale può difendere l’egualitarismo radicale dell’amore contro le costrizioni e le influenze esterne. L’ndividuo, allo stesso modo, deve essere protetto dal rischio di una violenza psichica che è strutturalmente presente nel precario equilibrio di ogni legame emotivo. Lo stesso si applica al tema della solidarietà, entro il quale la legge può limitare la costruzione degli orizzonti valoriali che costituiscono le comunità. In merito a tali orizzonti, e concludo, Honneth include solo quelli tanto aperti e pluralisti da permettere a qualunqu membro della società di vedersi (…) socialmente apprezzato per le sue capacità.
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So di aver messo davvero troppa carne al fuoco, per coloro che non hanno saltato a piè pari la recensione, ma è giunto il momento, dopo tanta teoria, di ribaltare il tutto sul piano pratico e di rendere nota la mia cura alla Sindrome Post-Report e al dilemma dell’attivista.
L’attivista, giuro, è un essere umano. E se l’attivista è un ecologista, sillogisticamente, anche l’ecologista è un essere umano. Dunque, dal momento che, torno a citare, non si può concepire una riuscita autorealizzazione senza presupporre un certo grado di fiducia in se stessi, di autonomia giuridicamente tutelata e di sicurezza riguardo al valore delle proprie capacità, ciò di cui è necessario fare scorta o – come nella maggior parte dei casi – ciò su cui bisogna rendersi consapevoli delle proprie potenzialità è l’amore, il diritto e la solidarietà intersoggettiva. Mi rivolgo in particolare (ma la cura è valida per tutti), dato che si tratta della “mia comunità”, agli ecologisti frustrati e disillusi che si accaniscono contro i non ecologisti non potendosi accanire con un soggetto più potente e ampiamente responsabile, o che invece si accaniscono contro l’aleatorio Potente e in ogni caso finiscono per essere vessati dalla Sindrome post-Report. Lavorare sull’applicazione pratica e quotidiana di ciò in cui crediamo, questa è la mia cura, altresì detta COERENZA. Sono fermamente convinta che se davvero tutti coloro i quali si dichiarano solennemente e spontaneamente ecologisti si comportassero coerentemente e praticamente – le chiacchiere stanno a zero – come tali, non ci sarebbe inquinamento su cui indignarsi e su cui condurre inchieste. Allo stesso modo, sono fermamente convinta che se tutti coloro i quali si dichiarano di sinistra/antirazzisti/antiglobalisti/femministi … eccetera si comportassero coerentemente e praticamente come tali, i rispettivi problemi forieri di disillusione non potrebbero fare altro che soggiacere alla nuova tendenza dominante, la loro. Agire contro e urlare contro, anziché pensare contro, vagamente, una tantum, il lunedì sera.
Se leggo che la prima causa di inquinamento dell’aria nelle metropoli italiane è l’auto e io non ne ho mai posseduta una … perchè dovrebbe venirmi il sangue acido? Se mi dicono che la prima causa di disboscamento e di conseguente desertificazione è la produzione di carne a livello industriale e io non ne consumo da anni … perché dovrei sentirmi angustiata?
Io non partecipo. Punto.
E la miglior soddisfazione dell’essere coerenti con se stessi (dopo aver acquisito fiducia, rispetto e stima di sé), non è fare inutili proselitismi. Ripeto: le chiacchiere stanno a zero e si acquisiscono “seguaci” semplicemente dimostrando che si ha una vita stupenda anche occupandosi dell’ambiente e del prossimo … e si spende anche meno ! Dicevo, la soddisfazione più grande è riconoscere e sbuggerare l’incoerenza altrui: sbattere in faccia a chi ha tre auto che non può lamentarsi dell’assenza di piste ciclabili o di aria respirabile, prendere nota e chiedere il conto a chi solidarizza con i migranti di Lampedusa e ruba posti negli asili nido iscrivendoci i figli senza mandarceli (“Perché è piccolo e mia moglie mo’ si licenzia perchè so’ arrivate le romene che prendono meno”), piantare delle scenate grottesche al commerciante che non mi fa lo scontrino invece di lamentarmi della carenza di servizi pubblici, far sentire una merda lo studente che ha 5000 euro addosso e si becca la borsa di studio perché i suoi dichiarano un reddito di 10000 euro l’anno. Provare per credere: è un orgasmo.
La mia disillusione è stata capire che il nemico ce lo abbiamo in casa, e tutti, perchè i razzisti, i fascisti e gli inquinatori sono esseri di una coerenza inintaccabile. E noi no.
Dedico questo post alle vittime
dell’ultima insensata strage di Lampedusa.
dedi